ALESSANDRO CALIZZA X LIDIA FLAMIA
Alessandro Calizza, classe 1983, vive e lavora a Roma. I suoi lavori sono stati esposti in numerose città italiane ed all’estero e in questi ultimi anni diverse testate giornalistiche e televisive hanno parlato del suo lavoro. Tra le esposizioni personali ricordiamo Atene Brucia presso il Museo dell’Arte Classica di Roma, che ha visto come ospite d’onore per la presentazione del catalogo l’artista Luigi Ontani, Carne Fresca, presso la Mondo Bizzarro Gallery di Roma e Global Warning presso la Galleria Il Canovaccio di Terni.
Lidia Flamia: Vorrei iniziare chiedendoti di raccontare il tuo esordio artistico. Come ti sei avvicinato alla pittura?
Alessandro Calizza: A 13 anni ho scoperto il mondo dell’hip hop e del writing e da lì credo sia iniziato tutto, anche se prima che iniziassi a dipingere sono passati molti anni e solo nel 2010 ho esposto le mie prime opere. Sono autodidatta e vengo da un mondo che non ha nulla a che vedere con l’arte, per cui si è trattato di un percorso fatto realmente passo dopo passo. Il mondo dell’arte, soprattutto romano, non è semplice da approcciare; è fatto di circoli chiusi, spesso familiari, che difficilmente mostrano la volontà di aprirsi a qualcosa o qualcuno che non appartiene alla propria sfera di contatti e relazioni. Se questo da un lato può rendere più complicato l’esordio di un artista, dall’altro però credo mi abbia lasciato una grande libertà di prendere la direzione che volessi, senza dovermi necessariamente avvicinare a percorsi già definiti per poter essere inserito in gallerie o mostre varie.
LF: Durante il tuo percorso hai sviluppato importanti evoluzioni stilistiche, quali influenze sono state significative?
AC: Gli artisti e gli stimoli che mi hanno influenzato durante il mio percorso sono stati e continuano ad essere molto vari. Carla Accardi, i Fauves e gli espressionisti astratti mi hanno fatto capire la potenza del colore (o della sua assenza) e della composizione per raggiungere quell’“attimo fecondo” caro a Lessing e che ricerco in ogni mia opera. La pop art mi ha insegnato quanto sia importante utilizzare simboli e codici immediatamente intellegibili da tutti per rendere l’opera veicolo di riflessione e non automasturbazione. Nella pittura di artisti come Bosch, Fussli o Ernst ho visto quanto l’arte non abbia alcun motivo di seguire le regole che sottostanno alla nostra realtà e possa invece eluderle o modificarle a suo piacimento. Se poi penso a esperienze più contemporanee sicuramente la Low Brow ed artisti come Ron English sono uno dei miei punti di riferimento, ma come lo sono anche Anselm Kiefer o Jeff Koons. Divento matto dietro al segno delle incisioni dello Spagnoletto o la sintesi dei giapponesi e la post internet aesthetic mi affascina molto. Potrei andare avanti per giorni; questo per dire che ogni artista o epoca che valga la pena ricordare se avvicinati con intelligenza e curiosità possono insegnare molto, in un senso o nell’altro.
LF: Parlaci del tuo spazio di lavoro condiviso. Quanto è importante confrontarsi con altri artisti, al fine di fare arte?
AC: Togliere il confronto all’arte sarebbe come parlare in una stanza vuota senza nessuno ad ascoltarti e da ascoltare. Oltretutto la dimensione creativa in cui agisce un artista credo sia una dimensione prettamente solitaria, e a maggior ragione per me tutto ciò che avviene “prima” e “dopo” è fondamentale che sia condiviso. Vedere opere di altri artisti che stimo e avere le loro opinioni sul mio lavoro, incontrare persone a studio o anche solo trovare stimoli in una chiacchierata davanti ad un piatto di pasta, sono momenti centrali della mia quotidianità; senza i quali probabilmente la noia di Moravia mi annienterebbe.
LF: Ogni anno organizzi un evento – Birthday Art Work release – in concomitanza con il tuo compleanno. Trovo molto interessante che durante la serata si possano acquistare opere originali a prezzi irrisori, offrendo così la possibilità di avvicinare anche i più giovani ad una embrionale forma di collezionismo…
AC: Birthday Artwork Release è diventato negli anni un appuntamento a cui tengo molto e con un’ottima risposta di pubblico. L’assenza di un collezionismo giovane è sì un problema di risorse, ma anche un fenomeno culturale influenzato dal modo in cui i giovani vengono cresciuti e da ciò che negli anni percepiscono come importante e prezioso da avere o da raggiungere. Molti non spenderebbero nemmeno 50 euro per una serigrafia ma 1000 per un telefono si; e penso ad esempio a festival come il CRACK o l’Independent Artist Market in cui al costo di una cena si possono comprare opere incredibili. Il mondo dell’arte ha le sue dinamiche che inevitabilmente riguardano anche me, ma dare la possibilità una volta l’anno di portarsi a casa per pochi euro una mia opera originale è per me il modo di contribuire ad appassionare i giovani al collezionismo ed all’arte contemporanea, oltre che una bella occasione per far girare il mio lavoro e diffonderlo il più possibile.
LF: Vedi nell’arte contemporanea una possibilità morale atta a veicolare messaggi che smuovano le coscienze intorpidite?
AC: Si. Credo fermamente che l’arte debba essere uno strumento di analisi e critica della nostra realtà, e che attraverso questa magari le persone possano tornare a riflettere in maniera più consapevole e attiva su quanto accade ogni giorno. Viviamo in un sistema dove ogni cosa è data per immutabile e pertanto da accettare senza rimostranze; c’è un 1% di mondo che sfrutta a suo piacimento quel restante 99% convincendolo che non ci siano i mezzi o le possibilità di cambiamento, quando basterebbe molto meno di ciò che si crede per ribaltare tutto. L’arte (la cultura in generale) può invece riuscire ad entrare nella coscienza delle persone e aprirgli gli occhi sulla vera natura delle cose, o almeno è quello che per me dovrebbe fare. Oggi molte opere che si ve(n)dono in fiere e gallerie non sono che mera decorazione, pronte da piazzare come fossero bistecche e che possibilmente non infastidiscano o facciano riflettere troppo altrimenti non si vendono bene. Ben venga vendere le proprie opere ci mancherebbe, ma non dovrebbe essere il motivo per cui queste vengono realizzate. Con questo non sto dicendo che la dimensione estetica non sia importante, anzi ritengo che la “forma” sia un veicolo fondamentale, potente ed efficace attraverso cui poter far passare un messaggio. È un equilibrio delicato: la forma senza contenuto è decorazione non migliore delle stampe di IKEA; il contenuto senza una forma efficace e che invogli al dialogo tra l’opera e chi la fruisce, rimane impossibile da comprendere e quindi inutile.
LF: Le tue opere veicolano forti critiche sociali. Un esempio è la serie Global Warning – le opere svelano un repertorio iconografico che evoca il mondo classico, riletto in tinte pop, tese ad evidenziare il totale disfacimento contemporaneo per mano dell’uomo. A questa serie se ne affiancano altre in progress, ti andrebbe di dirci di più?
AC: Il repertorio classico è parte della mia biografia fin dall’infanzia e continuo a trovarlo molto efficace nell’evocare tutta una serie di valori e aspetti tipici della nostra cultura e della nostra società che sono spesso al centro delle mie riflessioni. Il “pop” è un ottimo modo poi per creare un confronto che, attraverso l’ironia, sia accessibile a tutti e avvicini anziché allontanare chi esperisce l’opera. Recentemente sto portando nella mia ricerca anche tutta quella parte della mia vita che è legata al Senegal ed all’Africa, luogo in cui vado due o tre volte l’anno da ormai 16 anni per seguire alcuni progetti di sviluppo assieme all’associazione Energia per i Diritti Umani onlus, di cui faccio parte. In generale quello che cerco di fare è di riflettere in maniera critica sulla nostra epoca e sulla realtà che ci circonda e che viviamo ogni giorno. Spesso rappresento situazioni e scenari preoccupanti o quantomeno “preoccupati”, a volte in maniera più esplicita, a volte meno. Quello che mi interessa è far scattare un campanello di allarme che possa riportare l’attenzione sulla direzione in cui stiamo spingendo il nostro presente e il nostro futuro. Abbiamo ancora la possibilità di cambiare e dare agli eventi un esito differente, ma ciò non avverrà in maniera naturale o automatica. Sarà necessaria una profonda presa di coscienza intenzionale e collettiva prima (e qui l’arte come dicevo può fare la sua parte), e un grande impegno poi nel cambiare radicalmente la propria vita e la società in cui agiamo quotidianamente.
LF: In qualità di artista, come vedi il futuro dell’arte contemporanea in Italia?
AC: Da un punto di vista qualitativo credo che oggi ci siano in giro davvero molti artisti e molte artiste di gran livello. Il punto poi è capire se il sistema dell’arte sarà così intelligente da riuscire a scrollarsi di dosso alcuni atteggiamenti che mirano più a massimizzare i profitti o sostenere artisti spinti dagli opinion-makers di settore del momento, e dare invece spazio a chi davvero se lo merita. Non dico che gli artisti contemporanei oggi più quotati e seguiti siano necessariamente artisti che non lo meritano, anche tra questi per fortuna ci sono esperienze di gran qualità; ma non ho dubbi che tanti altri a cui spetterebbero molto più spazio e attenzione non li abbiano solo perché esterni a determinate dinamiche di settore. Mancano nuovi grandi collezionisti, manca una politica statale che rimetta l’arte e la cultura al centro del discorso e le sostenga come meritano. Chi oggi “fa” il sistema dell’arte (salvo rare e felici eccezioni di nuove realtà o altre che effettivamente sono riuscite a rinnovarsi) è chi lo faceva venti, trenta o quaranta anni fa, e questo non è sicuramente il contesto migliore in cui veder nascere nuove scene dell’arte contemporanea e nuovi artisti che possano un giorno affermarsi a livello internazionale, come è accaduto per le generazioni precedenti. Credo che, per la situazione in cui ci troviamo, la cosa più interessante che possa accadere è che gli artisti inizino ad immaginare autonomamente esperienze collettive da cui partire per riuscire a crescere e prendersi lo spazio che gli spetta.
LF: Per concludere ti andrebbe di anticiparci qualcosa riguardo ai tuoi progetti futuri?
AC: A fine ottobre ho inaugurato la mia prima opera su muro, realizzata per il MoMA Hostel in occasione della presentazione del catalogo della collezione permanente. Tra novembre e dicembre ho partecipato al Riscarti Festival con una installazione site specific presso la Galleria Alberto Sordi a Roma. Stiamo capendo con la città di San Ginesio (un posto di incredibile bellezza che non conoscevo) e con la curatrice del progetto Elisabetta Melchiorri, quando realizzare una mia esposizione personale con opere che poi il comune vorrebbe acquisire per renderle pubbliche e parte della propria collezione. Per il resto a causa dell’emergenza Covid ho in sospeso una personale alla galleria Canovaccio di Terni e un’altra alla Fondazione Besso di Roma in collaborazione con Marta Bandini ed Elettra Bottazzi, con cui dovrei realizzare anche una residenza per AMANEI Salina. Con SIAMO TESSUTO di Rossana Danile stiamo portando avanti un progetto nel Parco Archeologico della Valle dei Templi di Agrigento, iniziato con la realizzazione di un docufilm e che dovrebbe anche qui svilupparsi con una residenza d’artista e altri eventi collaterali.