LUCA RUBEGNI
Il prossimo 3 Giugno saranno trascorsi esattamente dieci anni dall’uscita de “Il sorprendente album d’esordio de I Cani”, disco pazzesco, attualissimo, il quale va ascoltato almeno una volta nella vita. Intanto che aspetto l’arrivo del mio “French Dispatch”, ho scoperto che dal 20 del mese corrente sarà introdotta una nuova piattaforma social e digitale nel mondo dell’arte: Platform.
Un nuovo mondo, un approccio innovativo alla fruizione dei prodotti culturali, lo SpaceX del contemporaneo.
Platform sarà l’Amazon che gli art losers (il correttore del computer automaticamente mi corregge lovers in losers nb.), ciò che aiuterà chiunque voglia elevare il suo status sociale a collezionista di opere d’arte contemporanee. Perché si sa, che l’arte è il senso della vita.
Comunque sia Platform non nasce in un garage americano da qualche gruppo di studenti nerd troppo presi a leggere l’ultimo catalogo di Frieze o del MoMA, autofinanziatisi vendendo limonate o facendo i camerieri. No, l’idea è partorita da David Zwirner, che nemmeno sto a dirvi chi sia, il quale giustamente cerca metodi e soluzioni sempre diversi per espandere il proprio business. So far, so good.
La nascente realtà virtuale funzionerà come una sorta di temporary store virtuale, con 100 opere che cambieranno ogni mese e con prezzi che oscillano da un minimo di 2.500 euro ad un massimo di 50.000, così, a detta della galleria, da incoraggiare i nuovi acquirenti a comprare opere d’arte ad un prezzo accessibile.
In pratica un entry level contemporaneo, se non siete abbastanza ricchi da potervi permettere Armani, potete ripiegare sull’Emporio, stessa casa, ma fasce di prezzo differenti.
Zwirner afferma che Platform servirà a guidare ed incoraggiare anche i collezionisti del domani, ovvero i Millennials, perché gli #OKBoomer incominciano ad invecchiare e le spese mediche per l’immortalità aumentano.
Qui però non riesco a frenare la mia penna, perdonatemi.
Ho utilizzato una serie di inglesismi in questo articolo come non mai, anche perché devo usare delle parole che oramai fanno parte del nostro quotidiano culturale generazionale. Però la cosa non mi piace, trovo questa attitudine lessicale vacua, superficiale, riduzionista e soprattutto classificatoria, il che è proprio quello che mi pare, guardando i social ed i programmi televisivi, non si voglia fare nel nostro mondo equiparitario e anti-discriminatorio.
Già l’espressione “ok boomer” mi da la nausea, sembra dire ai genitori «bravi scemi che non capite un cazzo, lo so io come va il mondo», quando sono gli stessi imbecilli che oltre ad averci cresciuti ci hanno pure pagato gli studi, gli spritz, la droga e le vacanze all’estero perché “viaggiare allarga gli orizzonti” (e non solo, ndp.)
Questo fatto di identificare gli altri come i cattivi, i nemici distruttori del mondo e della natura, quelli sessisti e maledetti che hanno sbagliato tutto, diventa estremamente velleitario detto da un giovane che pretende che siano rispettati i diritti di tutti gli esseri umani. Se si vuole incominciare ad essere integrativi e rispettosi, incominciamo facendolo da chi abbiamo vicino, magari seduto di fianco a noi e non solcando demarcazioni di differenze generazionali, anche perché questo sposta solamente il mirino della rabbia collettiva da un obiettivo ad un altro.
Altra cosa che mi infastidisce del latente relativismo è la continua, asfissiante presa di posizione su qualsiasi contenuto umano. Si parla di un fatto qualsiasi, ecco subito un gruppo di individui ben pensanti che sventolano la bandiera di una delle due fazioni, inneggiano a crimini, lapidano gli avversari o chi non si affina alla loro fazione, e sono sempre dalla parte del giusto.
Ecco, mi da il vomito chi sta sempre dalla parte del “giusto”, colui che sa sempre dove sta il “martire” e che deve mostrare al mondo intero la sua opinione.
Io preferisco restare in silenzio, osservare ed ascoltare, studiare e poi cercare di capire i perché della nascita delle cose, senza schierarmi.
Anche perché le idee e le opinioni cambiano spesso e se si dovesse tener conto della coerenza di chi afferma di non aver mai sbagliato in vita sua, si rimarrebbe piuttosto delusi dallo scoprire la sua condotta morale.
Siamo esseri patetici, spaventati di fronte alle grandi complessità della nostra storia, ma pretendiamo di sapere e di avere la cura a tutte le malattie del mondo, di poter rinchiudere i mali nel vaso di Pandora. In realtà il più delle volte, siamo noi stessi il veleno, il cancro da curare, l’idea sbagliata, il pregiudizio infiammante, il fascista mascherato, la vittima sacrificale.
Aveva ragione Girard quando affermava che nelle culture antiche il rito sacrificale non serviva per ingraziarsi la divinità, ma per allontanare l’alito della violenza che ribolliva all’interno della comunità stessa. Noi facciamo lo stesso, cerchiamo sempre un capro espiatorio sul quale riversare tutte le problematiche che vicine o lontane di affliggono, pensando che così facendo risolveremo almeno per un ciclo di lune i nostri malesseri.
David Zwirner lancia Platform e amplia ancora di più il bacino di possibili acquirenti, che comodamente seduti sul sofà in salotto di un bel appartamento di una delle tante megalopoli multiculturali, spendono 50.000 euro per un’opera d’arte di un artista qualsiasi, sentendosi gratificati per aver investito in della buona “cultura”. Poi aprono un social qualsiasi, e postano #freepalestine o #metoo. So far, so good.