GIULIA CACCIUTOLO X FEDERICO PALUMBO
Poco tempo fa abbiamo avuto un inizio di collaborazione con Giulia: era in corso la sua mostra da Sottofondo Studio e finalmente abbiamo intrapreso una conversazione (che potete leggere qui) che si prometteva essere proiettata sul lungo periodo.
Ebbene, abbiamo portato avanti il confronto con l’artista, approfondendo il lavoro e facendo – questa volta – due chiacchiere solo con lei.
La conversazione che segue è parecchio tempo, quindi non ruberò altro tempo alla lettura. Vi basti sapere che al suo interno sono presenti diversi spunti di riflessioni importanti e anche un piccolo spoiler che riguarda noi.
(Nessun) C’era una volta….
Federico Palumbo: La memoria personale e collettiva, nel corso della vita, molto spesso confluiscono in un unico raggio d’azione che finisce per sfumare i contorni della percezione del ricordo stesso. Del personale e del collettivo.
Aby Warburg con il suo Atlante Mnemosyne sembra parlare di questo: ‘mischiando’ reperti fotografici che spaziano da un’epoca all’altra, senza apparente unità e fluidità temporale, ha come ambizione quella di creare – in qualche modo – archivio della società occidentale. L’operazione, però, assume connotati molto più profondi, intimi e personali. Cito le parole di una mia professoressa (Raffaella Pulejo) che mi fece conoscere l’opera quando frequentavo ancora Brera: “Le stesse parole di Warburg possono farci intendere quanto il lavoro da lui portato avanti sia intimamente legato al desiderio di dare voce a personali conflitti interni: «A volte mi pare quasi che, come storico della psiche, io mi sia provato a diagnosticare la schizofrenia della civiltà occidentale in un riflesso autobiografico: la ninfa estatica (maniaca) da una parte e il malinconico dio fluviale (depressivo) dall’altra…». La continuità tra l’analisi del sé e i temi di studio del suo autore, configurano l’Atlante come possibile strumento di diagnosi personale e collettiva, in grado di intercettare le correnti energetiche della memoria in cui vivono e si trasmettono i fantasmi warburghiani e della storia europea”.
Questa lunga premessa mi serve per permettermi di inaugurare una riflessione con te, prendendola alla larga.
Conoscevi l’opera in questione? Che cosa ne pensi? Ha qualche possibile collegamento con il tuo modo di lavorare?
Giulia Cacciutolo: Ciao Federico! Intanto ancora una volta grazie per avermi di nuovo qui, è sempre un grande piacere fare due chiacchiere con Osservatorio Futura.
Assolutamente sì, conosco il lavoro di Aby Warburg ed in particolare quest’opera. Leggere questa prima domanda mi ha molto stupita: il Mnemosyne Atlas è stata una delle opere fondanti della mia ricerca, soprattutto all’inizio. L’analisi avanzata dalla Prof.ssa Pulejo è molto interessante poiché propone un’analisi basata su un parallelismo tra una dimensione collettiva ed una personale – parallelismo molto vicino anche alla mia ricerca, come vedremo più avanti.
Lo studio di quest’opera è stato cardine nella costruzione della mia ricerca sulle forme d’archivio contemporaneo. In particolare, ho trovato prezioso lo sforzo messo in atto da Warburg di rendere accessibile ed immanente il processo ineffabile di cambiamento e ricorrenza storici, attraverso le immagini. Nel mio lavoro senz’altro c’è una tensione verso questa relazione tra ineffabile ed immanente e la volontà di tradurre attraverso le immagini qualcosa che non potrebbe essere espresso altrimenti.
Mi sento di citare, in relazione al rapporto tra diverse dimensioni temporali e la memoria – collettiva o personali che sia – Olga Tokarczuk ed il suo meraviglioso libro I vagabondi: “…e forse è possibile,” lo sentì dire, “osservare il passato, lanciare i nostri sguardi all’indietro, immaginare che si tratti di una specie di panottico, oppure, cari amici, trattare il passato come se esistesse ancora e si fosse soltanto spostato in un’altra dimensione. Forse dobbiamo solo cambiare il nostro punto di vista, osservare tutto con un certo sospetto. Perché se il futuro e il passato sono infiniti, non esiste in realtà nessun ‘C’era una volta’. I diversi momenti del tempo sono appesi nello spazio come lenzuola, come schermi sui quali viene proiettato un certo momento: il mondo è formato da momenti immobili, grandi meta immagini, e noi saltiamo dall’una all’altra”.
F.P.: Il tuo lavoro verte su concetti quali memoria, ricordo, e di come questi vengano portati alla luce e tramandati ai posteri. Come e quanto si mescolano le dimensioni intime e personali con quelle aperte e collettive?
G.C.: Come dichiara Louis Buñuel: “Devi iniziare a perdere la memoria, anche se soltanto frammenti di essa, per renderti conto che la memoria è quello che definisce la nostra vita. La vita senza memoria non è vita. La nostra memoria è la nostra coerenza, la nostra ragione, il nostro sentimento, persino il nostro motore d’azione. Senza, siamo nulla”.
E questo è valido sia per la memoria collettiva che per quella personale, a mio avviso intimamente legate ed, anzi, non immaginabili disgiunte. Cosa è del resto la memoria collettiva se non un grande mosaico di dimensioni mnemoniche più intime?
Certo, alcune probabilmente più nascoste, celate di altre, ma tutte concorrono, in una maniera o in un’altra, a formare una memoria collettiva.
Questo binomio che costituisce il concetto generale di memoria è stato uno dei punti di partenza della mia ricerca. Per me, la memoria, su entrambi i livelli, è fortemente connessa al dolore, e dunque ad una crescita. E dovremmo sempre ricercare il nostro dolore.
F.P.: Intenderesti il tuo lavoro come una sorta di archivio contemporaneo? Io, osservandolo, non provo questa sensazione. Piuttosto, mi sembra risulti essere una manifestazione a tratti fragile-a tratti imponente di un sentimento che anima il passato ma che è, per sua natura, anche presente. E, nel tuo lavoro, futuro. Non so se mi sono spiegato…
G.C.: Sì, capisco cosa intendi. Non credo mi sentirei di definire il mio lavoro come un archivio contemporaneo. Una manifestazione, come hai scritto tu, forse si avvicina di più. Forse mi sentirei di definirlo come un tentativo di traduzione visiva di una “costellazione” di nostalgia, ricordi, memoria e dolore, proveniente dal passato, ma guardata da un punto di vista futuro. Pensi che mi sia spiegata?
F.P.: Sì, ho capito anch’io cosa intendi. Anche perché, l’elemento ‘archivio’ storicamente ha caratteristiche diverse: la catalogazione, ad esempio, fra tutte. Nel tuo lavoro è invece presente una forte attenzione all’installazione in senso lato. Gli oggetti, e i medium che li compongono, ibridano e mescolano le carte sul tavolo.
G.C.: Mi sento in questo caso di citare un concetto espresso da Derrida e poi affrontato da Van Alphen: “[…] l’archivio non è soltanto un luogo materiale dove la conoscenza è conservata, ma è anche una caratteristica generale di come opera la nostra mente e della sua esistenza”. Dunque il concetto d’archivio al quale io sono interessata ed intorno al quale ho volto la mia ricerca è decisamente slegato da una necessaria presenza fisica e da dogmi definiti. Ho ricercato pratiche archiviali ed un concetto d’archivio che fossero slegati dalla necessità di avere una fisicità e mi sono interessata di più a come il concetto di archivio potesse essere applicato a quello di memoria, a come si possano essere influenzati nel corso del tempo.
Inoltre, c’è una grande attenzione nel mio lavoro al luogo nel quale esiste e con il quale interagisce. Raramente realizzo lavori che non siano in qualche modo relazionati allo spazio nel quale sono esposti. C’è poi anche la volontà di lasciare questi lavori come “aperti”, come di ‘confondere’ le fonti dalle quali hanno avuto origine per lasciare a chi guarda l’autonomia di colmarli con la loro esperienza.
Insomma, uno dei fini dei miei lavori è quello di indicare un possibile ‘percorso’, ma di lasciare libero il pubblico di percorrerlo o meno e di scegliere in che modo farlo.
F.P.: Visto che si è aperto il discorso vorrei approfondire ulteriormente il tema dei medium utilizzati: come vengono scelti? E che ruolo ha questa diversità di materiali nella composizione del lavoro?
G.C.: La ricerca sui materiali è assolutamente fondamentale nel mio lavoro, come anche la sperimentazione.
Sono sempre stata estremamente curiosa di conoscere nuovi materiali e di ‘comprenderli’. L’uso di alcuni materiali è nato da una ricerca molto strutturata a partire da un’idea che avevo in mente, mentre ad alcuni materiali sono arrivata assolutamente per caso. Mi sono però di recente resa
conto che la maggior parte dei materiali che uso hanno per me una carica mnemonica e sono dunque collegati a episodi o persone ben definiti.
Ci sono poi state delle tecniche artistiche verso le quali mi sono sempre, istintivamente sentita attratta, ancora prima che la mia ricerca fosse ben strutturata. L’utilizzo della fotografa analogica e delle tecniche di formatura, che sono fin dal principio le tecniche portanti della mia pratica artistica, ha radici molto indietro nel tempo. Sono tecniche che amo profondamente e che mi hanno sempre parlato ad un livello viscerale molto prima che io stessa fossi consapevole della direzione che volevo dare alla mia ricerca.
Come invece ci siamo detti di recente, in occasione della mia mostra presso Sottofondo Studio, anche lo studio della texture, la giustapposizione di superfici, mi interessa molto e senz’altro ha guidato parte delle mie scelte a livello di materiali nei miei ultimi lavori.
F.P.: Vorrei, inoltre, chiederti cosa intendi per ‘spazio liminale’.
G.C.: Nella mia ricerca di recente ho riflettuto su come applicare al paesaggio, sia artificiale che naturale, il concetto di archivio della memoria delle comunità che lo abitano/lo hanno abitato. A partire da queste riflessioni, mi sono interessata anche alla possibilità di applicarvi il concetto di spazio liminale, inteso come spazio, fisico e non, che è soglia o momento di passaggio tra due stati/luoghi/momenti differenti.
Si sta rivelando estremamente interessante provare ad individuare questi spazi liminali, sia a livello fisico che concettuale.
F.P.: Credi che lo spazio all’interno del quale si svolge la vita e quello dove si verifica l’arte siano distanti, diversi oppure malleabili e sovrapponibili?
G.C.: Li ritengo assolutamente malleabili e sovrapposti. A mio avviso, la troppa distanza potrebbe essere indice di una mancanza di autenticità. Il creare per me è sempre stata salvezza: il mio modo di fare i conti, digerire ed accettare certi aspetti della vita o avvenimenti.
F.P.: Hai progetti in ballo per il futuro? Anzi, visto che probabilmente ci toccano a entrambi, possiamo svelare qualcosa?
G.C.: Abbiamo in cantiere un progetto espositivo – una mostra personale – curato da voi in una galleria del Nord Europa. Sono felicissima di avere l’occasione di lavorare con voi su una mostra… ed anche un po’ emozionata!
Sto inoltre lavorando ad un progetto al quale tengo molto, a Manchester, con una regista teatrale emergente – Giulia Grillo – che si sta laureando presso l’università di Manchester. È un progetto teatrale realizzato a partire da un testo di Clarice Lispector: la performance degli attori verrà unita ad una mia installazione, pensate per avere una interazione con il
pubblico. Il tutto avrà luogo in una chiesa a Manchester a fne Marzo.
Infne, se tutto va bene, dovrei essere in residenza a Milano tra primavera ed estate di quest’anno! Sono molto felice: ho sempre trovato Milano particolarmente interessante e non vedo l’ora di avere l’occasione di ‘viverla’ per qualche mese!
Ci sono poi altri progetti in cantiere, ma ancora è un po’ presto per parlarne.
F.P.: Lo siamo anche noi, felici ed emozionati!
Ultima domanda (utopica): se avessi budget, spazi e materiali illimitati, cosa andresti a realizzare?
G.C.: Questa è un’ottima domanda che, devo ammettere, mi son posta anch’io qualche volta. Sicuramente, mi dedicherei alla mia ricerca completamente, senza il bisogno di fare anche altro per sostenerla. Poi, penso che sperimenterei molto, sopratutto con materiali (e dimensioni!) che in questo momento, per motivi di costo, non posso permettermi.
Investirei senz’altro in spazi per artisti – di qualunque età e in qualsiasi punto della loro carriera – per residenze, mostre, sperimentazione, ecc. e in opere di artisti che stanno appena cominciando, sapendo quanto difficile è trovare questo tipo di opportunità e quanta differenza può fare…