SONO UNA CREPA

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LUCREZIA COSTA X VIRGINIA VALLE

Lucrezia Costa (Roma, 1996) utilizza nella sua pratica media differenti che spaziano dalla fotografia, al video e alla performance fino alla scultura e all’installazione. Servendosi spesso di materiali naturali o ricchi di significati simbolici come il feltro e le pietre minerali, concepisce le sue opere come tentativo di creare una relazione tra corpo umano e corpo terrestre, di promuovere una scomodità fisica e mentale intesa come presupposto indispensabile per garantire la nostra presenza vigile sul mondo e di far emergere in superficie ciò che diversamente rimarrebbe celato nelle crepe delle nostre esistenze.

Formatasi prima alla LABA di Brescia, dove ha conseguito una laurea triennale in Fotografia, e poi alla NABA di Milano, con una magistrale in Visual Arts e Critical Studies, ha vinto numerosi premi tra cui, più di recente, la borsa di studio della Moleskine Foundation per il progetto “What comes first” in AtWork BASE a Milano condotto da Simon Njami; è stata tra i finalisti di We Art Open 2022 promosso dalla NoTitle Gallery nel Giudecca Art District e infine è stata vincitrice del Cellula Art Project, un progetto tuttora in corso. 


V.V.: Vivere in simbiosi con la terra, condividerne le crepe e farle proprie. È proprio sul concetto di “frattura” che si sviluppa parte della tua ricerca. Che cosa vuol dire per te?

L.C.: Una frattura per me è prima di tutto la rottura di un equilibrio. Quando penso a un corpo crepato, sia esso architettura, essere vivente o altro, mi viene in mente qualcosa che sottoposto al passare del tempo cede, e nel farlo genera un’apertura inaspettata permettendo la visione di ciò che prima non era possibile intravedere e percepire. Questo mutamento cambia irreversibilmente un equilibrio statico e provoca un passaggio ad un equilibrio dinamico e instabile, ovvero il mio terreno di ricerca.


V.V.: La crepa però a volte sembra diventare motivo di ricongiungimento, come per esempio in Extra matters symbiosis (2022), Souls engaged in defeating entropy (2021), Shifting my energy to you (2021). Questo è uno degli obiettivi della tua ricerca?  

L.C.: Le crepe sono tante cose: possono essere eventi inaspettati, momenti di attesa, persone o anche alberi come nel caso di Extra Matter Symbiosis. Le opere che hai preso come esempio hanno a che fare con una relazione tra due esseri (e due corpi) e quando si tratta di rapporti sono le anime a essere crepe. Le crepe in questi casi sono persone che provano un affetto tale per l’altro che l’idea del distacco prima o poi necessario a causa del decadimento fisiologico è sempre presente in loro generando un sottile alone malinconico. Come scrivo nel lavoro Passaggi catartici “Le crepe si riconoscono, soprattutto quando accade qualcosa di bello, perché negli occhi delle crepe si intravede un velo di malinconia, di tristezza.” C’è una specie di memoria del dolore nell’anima di una crepa che rimane sempre presente e la cura quotidiana è proprio la vicinanza fisica, il ricongiungimento perpetuo appunto.

Lucrezia Costa, Engaged in defeating entropy, 2021 – courtesy dell’artista
Lucrezia Costa, Engaged in defeating entropy, 2021 – courtesy dell’artista


V.V.: Soffermandoci su uno dei tuoi ultimi lavori Extra matters symbiosis (2022), la vicinanza con la terra sembra essere vissuta anche come tentativo di aiutarla, di sensibilizzare verso le sue esigenze e di darle visibilità e attenzioni. La tua pratica si intreccia anche con l’ecologia? 

L.C.: Sì se epuriamo la parola “ecologia” da tutti gli stereotipi di cui è stata caricata soprattutto negli ultimi anni. L’etimo “oikos” e il significato prima della parola “ecologia” è “saper abitare” e per me è fondamentale capire quali sono, come essere umano, le modalità più intelligenti, o almeno le meno dannose, per abitare con consapevolezza questa terra. So perfettamente che quei due olmi secolari non avevano bisogno del mio intervento per rimanere uniti fuori dallo stato materico, e forse il mio era più un tentativo di avvicinare le persone ad una visione orizzontale, dove la storia di due alberi costretti a separarsi a causa di una malattia ha la stessa importanza di quella di due esseri umani. Inoltre, dal momento che il DED (Dutch Elm Disease) non è così conosciuto in Europa nonostante circoli dagli anni ‘70, spero che con questo lavoro si possa far luce su una delle tante emergenze ecologiche in corso.


V.V.: In molte tue opere è ricorrente l’uso del feltro, un chiaro riferimento a Beuys. Come utilizzi questo materiale? Quale significato ha per te? 

L.C.: J. Beuys è uno dei capisaldi della mia ricerca e il feltro, che utilizzo in diversi progetti, è un materiale povero che però ha grandi capacità di contenimento del calore e conservazione dell’energia ed è per questo motivo che lo utilizzo, perchè contrasta l’entropia, il decadimento fisiologico. In Shifting my energy to you ad esempio, l’utilizzo del materiale avviene per passare l’energia a mia madre che sta andando incontro all’età della maturità, nel tentativo di far durare la sua esistenza più a lungo possibile. Nella performance La leyenda de la papa (2021) il feltro viene avvolto simbolicamente intorno alle patate che pulisco e dono agli spettatori con la richiesta di prendersi cura delle cose povere ma essenziali. In Cradle for heavy souls (2022) ha lo scopo invece di scaldare e dare energia ad una pietra posta dentro una culla così da farla sentire leggera e protetta da un calore esterno che può farla “sentire a casa”.

Lucreazia Costa, Cradle for heavy souls, 2022 – courtesy dell’artista


V.V.: Un altro lavoro che mi ha ricordato Beuys, questa volta per l’utilizzo del grasso, è stato Passaggi catartici (2021), mi puoi raccontare qualcosa in più su quest’opera? 

L.C.: Questo lavoro è nato dall’esigenza di raccontare quello che stavo provando durante la pandemia. Stare chiusi tra quattro mura da un lato dà la possibilità di concentrarsi maggiormente sulla ricerca e sui propri pensieri, ma dall’altra parte è potenzialmente pericoloso perché si perdono i riferimenti, dunque l’equilibrio. Tutto improvvisamente si amplifica generando sensazioni troppo forti da gestire a volte, soprattutto quando la propria pratica prevede di scavare dentro se stessi e negli antri più scomodi dell’interiorità. Così ho pensato che portando fuori da me certi sentimenti attraverso la scrittura potessi comprenderli meglio. Successivamente ho deciso che volevo incidere questi pensieri per dare loro corpo, un corpo fisico intendo, e quando mi sono imbattuta nella pergamena di alluminio che poi ho deciso di utilizzare ho capito che quelle parole dovevano essere incise lì. Le colature di materia grassa mi ricordavano Strata: a geophotographic fiction di R. Smithson, una specie di stratificazione temporale su cui i miei pensieri potevano sedimentare e sovrapporsi, divenendo materiale fertile da cui far nascere nuovi lavori. Così lettera dopo lettera ho inciso tutti i pensieri con dei punzoni, in un processo faticoso e a tratti catartico che mi ha permesso di pacificarmi con quei sentimenti e di andare avanti.

Lucrezia Costa, Paesaggi Catartici, 2021, dettaglio – courtesy dell’artista
Lucrezia Costa, Paesaggi Catartici, 2021 – courtesy dell’artista

V.V.: Nell’installazione Stare scomodi per essere (2022), oggetti nati per essere supporto al comfort, come cuscini o poggia piedi, assumono la funzione opposta diventando strumenti di scomodità. Anche nella performance Selvatica (2021), mi è sembrato di cogliere un riferimento agli stessi aspetti. Ci parli di queste due opere e di come concepisci il concetto di “scomodità”? 

L.C.: Nella mia pratica la scomodità è un modo di essere e stare al mondo. In una società che coccola e addomestica all’estremo sopendo a lungo andare i sensi e la ricettività, ho trovato (nel caso di Stare scomodi per essere), sempre durante la pandemia, un piccolo escamotage, o meglio un promemoria per ricordarmi e ricordare agli spettatori che è importante (ogni tanto) stare scomodi, fisicamente e mentalmente, perché nella scomodità i sensi si acuiscono e improvvisamente ogni stimolo viene colto con maggiore attenzione. Credo che per invertire la rotta rispetto alla direzione distruttiva in cui l’uomo sta andando, sia necessaria una buona dose di scomodità e mi rendo conto dell’impopolarità della mia idea, ma credo fermamente che sia necessario riattivare la percezione e un fastidio sopportabile ma prolungato come quello che può generare una seduta scomoda, è un piccolo aiuto per iniziare a muoversi in quella direzione. SELVATICA è nato da una condizione di scomodità in cui io stessa mi sono messa: una residenza artistica nel deserto dell’Almeria in cui ho dovuto fare i conti con una percezione completamente diversa e nuova di me, del mio corpo e di cosa significhi essere liberi (e di conseguenza senza riferimenti e appigli). Per molti anni ho trascinato il mio corpo immaginandolo come un peso morto e in quella situazione sconosciuta ho invece compreso che il corpo può agire remando nella stessa direzione della mente. Ho avuto così modo ancora una volta, attraverso la scomodità, di scoprire un nuovo grado di complessità del reale e di acuire la percezione.

Lucrezia Costa, Stare scomodi per essere, 2022, cemento, marmo, pietre di riciclo, alluminio – courtesy dell’artista

V.V.: Hai già delle mostre fissate per il 2022 in cui possiamo vedere il tuo lavoro? 

L.C.: Dal 25 marzo all’8 aprile esporrò durante la mostra Figure Sonore, in collaborazione con Collaborative Psycare e Paparuga  i Passaggi Catartici presso Lo Spazio Bianco (Via Filippo Tommaso Marinetti, Milano). Nello stesso periodo, l’1 Aprile, inaugurerà la mostra On the fault line, che è il risultato del mio lavoro di tre mesi in una residenza in zona Crescenzago che si chiama Jardino (Via Privata Cascia, Milano). Sempre nel corso del 2022 realizzerò un progetto espositivo insieme a Cellula Art Project con altri quattro artisti in quanto vincitori della call TRA, e poi ci sono in forse due o tre partecipazioni a progetti molti interessanti per cui vi terrò aggiornati!

V.V.: Puoi raccontarci qualcosa in più su Cellula Art Project? Con quale opera parteciperai?

L.C.: Ho partecipato al concorso di Cellula Art perché l’idea di immaginare un’esposizione all’interno di un metro quadrato ha stimolato la mia immaginazione in un periodo difficile e così ho deciso di modellare la mia ricerca dentro a questo spazio atipico. Poco dopo la laurea magistrale, ho approfondito il pensiero innovativo dell’architetto Aldo Van Eyck, e in particolare l’idea di “ground-up playground”, ovvero parchi giochi ricavati da spazi distrutti di Amsterdam durante la seconda guerra mondiale, e di applicarli a Cellula. Aldo Van Eyck è stato capace di realizzare luoghi di svago raggiungendo il grado di massima economia e stimolando enormemente l’immaginazione di bambini e adulti attraverso forme ambigue e polivalenti. Ho deciso così di prendere in prestito la sua modalità di realizzazione degli spazi condivisi e liberi applicandola a una galleria non convenzionale, con un tocco di provocazione per tutti quei luoghi istituzionali dell’arte che creano una distanza tra opera e spettatore. Così è nato “somewhere in between”, un playground in miniatura dove le forme in cemento è ferro sono elementari e per questo liberamente interpretabili e fruibili. I materiali sono quelli tipici della mia pratica, ma ho cercato di modellarli sul progetto Cellula che reputo davvero innovativo e non convenzionale. Le forme sono poco connotate e per questo gli spettatori di Cellula possono farne esperienza come meglio credono, in base a ciò che la loro percezione coglie.

Per approfondire ulteriormente quest’ultimo progetto abbiamo fatto a Elisa Gallenca, ideatrice del progetto Cellula e della piattaforma @cell_online_art_project, qualche domanda.

Osservatorio Futura: Che cosa ti ha colpito nella ricerca di Lucrezia?

L’uso del materiale e dell’immateriale attraverso una modalità affettiva.

L’aspetto più interessante del lavoro di Lucrezia è quello di riuscire a traghettare sentimenti di diverse intensità, anche molto forti dall’ informe a forme che definirei design dell’anima; tasselli spirituali che si concretizzano individualmente ma riescono a rievocarsi l’uno con l’altro creando così una cifra stilistica precisa.

O.F.: Per quale motivo pensi che  il progetto presentato si presti bene a Cellula?

Somewhere in between è un opera studiata appositamente per una Cellula d’acciaio specchiante che presenteremo a metà settembre al Condominio Museo di Via della Fucina di Torino.

Lucrezia ridimensiona fisicamente e concettualmente un parco giochi ispirandosi all’architetto olandese Aldo Van Eyck . Inserendo gli elementi/opere in scala  che costituiscono il play ground all’interno di Cellula, ciò che si riflette in un gioco di specchi stimola interrogativi e riflessioni sul vivere lo spazio e il tempo con un approccio ludico.

Lucrezia Costa, Somewhere in between, 2022 – courtesy dell’artista
Lucrezia Costa, Somewhere in between, 2022 – courtesy dell’artista