ALL’ALBA DELL’AGEISMO ITALICO

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ALESSIO MOITRE

In un futuro, forse molto futuroso, ritengo che non potremmo più permetterci gli anziani, per costrizione o inciviltà. Soggetti amorali o riprogrammati stabiliranno se delocalizzarli, limitarne il raggio d’azione, rigenerarli (come alcalinici corpi di carne), confinarli o procedere per selezione generazionale. I discendenti disumanizzati studieranno incuriositi il nostro diguazzare sforzato nell’acqua di coltura dei primitivi pregiudizi, di una società giovanilistica dove si permetteva alla morte di possedere i portatori sani per eccellenza. Soppeseranno la pandemia con l’occhio di chi ne sa di più e si è trovato ad affrontare scenari cataclismatici e insidie di maggior portata. Non gli sfuggirà nemmeno il tentennare lessicale dovuto a periodi di faglia, dove il cambio generazionale subisce un’accelerazione. Sappiamo di respirare quest’ultima essenza, per noi sterilizzante, sporcata dalla possibilità di inciampare nelle controversie sociali, rappresentate da fazioni schierate che adottano parole e slogan a stendardo di lotta. Un termine, anglofono e da lì incubato negli anni sessanta prima di essere assunto anche dai francesi trent’anni dopo, ha soggiogato la concorrenza anche se non di così diffusa conoscenza: ageismo. In pratica: “Forma di pregiudizio e svalorizzazione ai danni di un individuo, in ragione della sua età; in particolare, forma di pregiudizio e svalorizzazione verso le persone anziane” (Treccani). Potrebbe colpire tutti ma in sostanza trova terreno fertile in concomitanza della terza età. L’attestazione di questa parola era rara in anni passati ma ha svoltato con l’avvento del 2020, prendendosi il giornalismo, la letteratura, gli articoli specialistici e il parlato. In breve, una denigrazione che è diventata discriminante tramite soprattutto marginalizzazione, come sottolinea, con studiosa attenzione, l’Accademia della Crusca. I fatti dovranno confermare. Indubbio che il malessere o malpensiero, abbia già figliato. Questi sono nipotini lessicali interconnessi, adatti alla tecnologia, ineriti al tessuto sociale adulterato dall’evoluzione economica degli ultimi decenni. Le restrizioni sanitarie non han fatto null’altro che far deflagrare un congegno che avrebbe detonato in seguito. La protezione verso le fasce deboli si sta tramutando in sopportazione e anche nell’arte l’iceberg si è staccato dalla banchisa. La riproposizione di eventi importati, l’insistenza nella scommessa sull’artista storicizzato, lo svuotamento o saccheggio degli archivi e depositi sotto l’egida della riscoperta (di rado significativi, il più delle volte una blanda trascolorazione, nonostante le raccomandazioni espresse in una prima fase di interventismo) hanno evidenziato l’attualizzazione di taluni termini a svantaggio di precedenti concetti fino ad oggi ritenuti significativi. Si era sempre pensato che sarebbe stato il tempo a sancire il trapasso o l’albeggiare, il dilucolo verdognolo sarebbe avanzato sino alla conferma del nuovo giorno. Invece spariglio. Pre e post Covid, ciapa lì! E deve, come mi par di captare, apparire antiquata una forma di iattanza che accompagna la generazione trenta e quaranta del novecento, non certo per naturale differenza anagrafica ma per richieste al futuro che prima erano sufficientemente similari. La storia ha risorto dalla tomba il decennio di un secolo esatto fa. La società come allora si sta riprogrammando e tutte le opere che non si ammogliano appaiono polverose. Inoltre trattasi di un matrimonio lesbico, dove il punto è una sessualità che sta battendo i secondi alla lingua italiana. Il Ddl Zan di questi mesi, contrappone inevitabilmente i nonni ai nipoti, sotto gli occhi dei genitori che già sapevano ma si azzittivano per opportunità (con picchi di nicodemismo ormai accertate), tornendo una risposta visuale fatta di arte meno confusa degli oppositori al disegno di legge. Ai ventenni creativi di oggi non va spiegata la regolamentazione sessuale. Semmai è per l’ennesima volta la terminologia che ci spiazza: cisgender, transgender, transessuale, genere non binario, genderqueer, genderfluid, agender, intersessuale, Lgbtq (il controllo ortografico del computer ci vede rosso). La complessità si è impadronita del dibattito, rendendo lavori artistici ragguardevoli e noti, troppo compartimentati e la ragione non si accasa solo per fluidità di mezzi utilizzati (per altro spiegazione loffia ma soprattutto errata vista i precedenti). Non è un epoca di ricostruzione questa ma di ricontrattazione, in questa logica rientrano lavori artistici dove sia l’uomo che il suo ambiente sono testati cercando di comprenderne il punto di rottura. Può aprirsi, se imbullonato a dovere, un congegno creativo di scoperta, benefico se puntellato dall’intraprendenza. Nel panorama, come è saggio, rimangono opere storiche rese però irriconoscibili dalle nuove istanze. Difficile (per chi vi riesce una medaglia dall’eternità non gliela può sottrarre nessuno) ricollocarle ma il mercato le ha già innalzate, evitandogli la mareggiata. Resta l’afflato concettuale, non sempre calzante, alle volte scontroso. Impossibile sottrarsi ad un pericolo che per altro si è già presentato: l’ammodernamento, contravvenendo alla storia e all’origine dell’oggetto. Più che cancel culture un’errato senso di giustizia o di nuova civiltà. La correzione di storture morali è una tendenza che l’arte dei giovanissimi possiede, benignamente può rimanere inoperosa ma ritengo che sia difficile che ciò avvenga. L’allineamento che si sta richiedendo al mezzo è sostanziale. L’azione per merito di punzecchiature può generare lavori intriganti, forse accattivanti, di certo non duraturi. Per ottenere bisogna far scodare la vettura, aumentando la velocità per giungere al traguardo in testa. Il rischio è di instradare un’arte improntata ad una ripulitura e non sarebbe nemmeno improbabile, visto i chiari di luna. Per ora è una preoccupante suggestione. Cosa invece distacca geneticamente il vecchio dal giovane è il corpo nella sua rappresentazione. Dopo un decennio di fiacchissima performance, le premesse paiono indurci a supporre che il bacino si sia nuovamente riempito. L’astinenza sociale ha riportato l’umano ammasso di carne che ci portiamo appresso come una scocca, al centro del dibattito. Siamo ancora in fase di maturazione, nonostante ciò l’annata pare esser stata fruttifera. Ce ne sarebbe bisogno anche se il settore è di una complessità ammattente. Henry Kissinger (98 anni), politico e diplomatico, in un’intervista dell’anno passato, ammette che molti cittadini saranno in crisi davanti alla loro democrazia,  domandandosi se hanno ricevuto assistenza e protezione dai loro stati. Edgar Morin (100 anni nuovi di zecca), filosofo e sociologo, anch’essi intervistato per fare due chiacchiere sul secolo, sostiene che il futuro è oscuro ma che per rigenerare l’uomo bisogna partire dalla rieducazione delle menti ad un pensiero più adeguato, definibile come complesso. Le sfaccettature dell’età avanzata sono ancora nelle nostre corde tanto da supportarle nonostante l’avanzare delle restrizioni, degli acciacchi fisici, delle richieste spesso pressanti e ripetitive dei soggetti interessati? E questo in che modo impatterà sull’arte? Lo farà ancora? E quanto gli entranti riconosceranno i loro discendenti? Siamo nella coda di un periodo creativo. Da diversi anni la lisciavamo, attendendo inevitabilmente lo scontato finale. Non è stato un assopirsi, come detto, ma una esecuzione alla Sanson, boia illustre della rivoluzione francese. Idee razzolano per ogni generazione vivente solo che alcuni linguaggi hanno bruciato le orecchie.